‘Sto vivendo un incubo’, la lettera del ristoratore napoletano arrestato a Dubai e scambiato per il narcos ricercato Bruno Carbone


“E’ uno sbaglio di persona, io non sono Bruno Carbone, mi chiamo Domenico Alfano”. L’imprenditore napoletano ha inviato una lettera alle autorità italiane attraverso suo fratello Salvatore e anche agli organi di stampa. Sta vivendo un incubo dal 20 dicembre scorso. E’ stato arrestato all’aeroporto di Dubai in transito da panama perché sospettato di essere il noto narcos internazionale e ricercato Bruno Carbone di Marano legato a doppio filo a Raffaele Imperiale. Alfano, 40 anni, è originario del quartiere Stella, vive a Santiago de Veragues nella Repubblica di Panama, dove gestisce un ristorante e una pizzeria. Era partito con la famiglia (moglie colombiana e 2 figli di 13 e 9 anni) per Dubai per trascorrervi il Natale e Capodanno. L’uomo, difeso dall’avvocato Giacomo Pace, spiega nella lettera: “Possiedo un ristorante pizzeria a Panama, a Santiago de Veraguas. Il 18 dicembre siamo partiti da Panama per Dubai, per una vacanza di 30 giorni – dice – Dopo aver fatto una sosta in Francia, abbiamo continuato il nostro viaggio e siamo arrivati a destinazione a Dubai alle 4:25 ora locale, con il volo Air France 658. Felice con la mia famiglia, prendiamo le valigie attendendo di uscire, quando è arrivato un uomo con la giacca e ci invita a seguirlo insieme a mia moglie e ai figli, passando davanti agli altri passeggeri. Inizia il mio incubo.  Alla porta dell’aereo due persone mi chiedono il passaporto e mi chiedono se il mio nome sia Domenico Alfano, quindi un nuovo invito a seguirli insieme alla famiglia.Chiedo spiegazione e di capire cosa stesse accadendo. Mi hanno separato da mia moglie e dai figli. Mi hanno portato in un ufficio, cercando di farmi capire gli ho presentato un biglietto da visita del mio ristorante. A quel punto l’uomo che aveva prelevato ha scattato una foto e se’è andato. Mi hanno messo in una cella  e mi hanno fatto altre foto. Due o tre ore dopo aver atteso, mi hanno messo le manette e mi hanno trasferito in prigione in una cella fino a notte. Mi hanno interrogato con un cellulare dotato di traduttore istantaneo. Mi hanno mostrato le foto di due uomini con due nomi e cognomi diversi dicendo che sono entrambe esponenti della criminalità e dicono che mi stanno cercando. Avevo capito che sì trattava di uno sbaglio di persona e che avrei risolto il problema presto. Hanno preso le impronte digitali e fatto un piccolo prelievo di sangue per un test del Dna. Mi hanno detto che posso essere calmo che se non sono io il ricercato e che la risposta dall’Italia sarebbe arrivata presto e che mi avrebbero rilasciato. Oggi, 16 gennaio 2020, sono ancora qui, rinchiuso da 28 giorni. Tutta la mia vita sta finendo, tutte i miei impegni di lavoro stanno andando a rotoli, il danno psicologico alla mia famiglia è indescrivibile, scrivo questa lettera in modo che tutti sappiano la verità sul! ‘incubo che stiamo vivendo “.

Cronache della Campania@2019

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