Camorra, si è pentito il braccio destro di Schiavone, conosce il mistero della pen drive di Zagaria

Il deposito di nuovi verbali da parte della Dda di Napoli in relazione a recenti dichiarazioni rese da un nuovo collaboratore di giustizia nel corso dell’udienza del processo Medea è venuto fuori anche il nome: si tratta di Francesco Barbato, ex braccio destro di Nicola Schiavone. I due sono stati condannati, nel 2014 in primo grado e nel 2016 in Appello, al massimo della pena per un triplice omicidio avvenuto l’8 maggio del 2009 quando, dopo essere stati sequestrati, furono assassinati Giovanni Battista Papa, Modestino Minutolo e Francesco Buonanno.

La settimana prossima, il pubblico ministero Antimafia Maurizio Giordano depositerà i verbali del nuovo pentito, ma anche di Salvatore Orabona, affiliato ai Casalesi  della zona di Trentola Ducenta diventato collaboratore di giustizia nel mese di aprile.Il pentimento di Barbato assume un ruolo fondamentale nello sviluppo del processo ma anche nelle inchieste della Dda sui tanti misteri ancora irrisolti e legati ai Casalesi. Per il suo ruolo avuto all’interno dell’organizzazione criminale Barbato potrà chiarire tra l’altro la vicenda della compravendita della pen drive sparita dal covo di Michele Zagaria il giorno del suo arresto. Quella pen drive, come ricorda Il Mattino, fu “rubata da un poliziotto, Oscar Vesevo, indagato, consegnata a Orlando Fontana, in carcere e sotto processo. Secondo la Dda la pennetta a forma di cuore fu fatta sparire prima delle perquisizioni successive l’arresto del capo dei Casalesi per tutelare gli interessi economici della cosca.

Della pen drive si venne a conoscenza grazie a un’intercettazione registrata in macchina dei fratelli imprenditori Pezzella. L’usb dei misteri non è mai stata ritrovata, ma il pentito Salvatore Orabona sostiene che contenga “nomi di politici” e afferma che «dopo il recupero fu consegnata a Filippo Capaldo, nipote e delfino di Zagaria. I pm della Dda hanno chiesto al gip e al tribunale del Riesame la misura cautelare per il poliziotto Oscar Vesevo, ritenuto artefice del recupero e ripagato – sempre secondo l’accusa – con 50mila euro da Orlando Fontana, ma per quattro volte l’arresto dell’agente di polizia non è stato concesso.

 

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